Michael Ballé sulla standardizzazione

Il Gemba Coach, ossia Michael Ballé, ha pubblicato settimana scorsa un articolo che parla delle sue difficoltà nel far implementare il lavoro standard nelle aziende, e il rimedio che ha trovato per ovviare ad esse.

Vediamo cosa ha da dirci:

Come iniziamo con il lavoro standard?

Ho sofferto con la stessa domanda per anni. In una azienda abbiamo chiesto ad uno sfortunato personaggio di andare là fuori e a “scrivere gli standard”. Lui era (è) un’ottima persona, e aveva letto tutto quello che c’era da leggere su come dovrebbero essere fatti gli standard, e poi è partito con il lavoro, scrivendo il “documento del lavoro standard” per ogni stazione di lavoro, completo di fotografie e tutto. Il pover’uomo è andato avanti per quasi due anni e, da completo idiota che ero, lo sostenevo dicendo che “tutto tornerà utile in futuro”. Alla fine, lui è arrivato quasi all’esaurimento nervoso e noi non abbiamo mai usato il suo lavoro – sono ancora imbarazzato riguardo a questo episodio. E dopo quell’esperienza, cercavo sempre di evitare l’argomento, ma la sua inevitabilità tornava sempre d’attualità…

Il mio sensei insisteva che senza lo standard non ci poteva essere kaizen, così decisi di prendere un profondo respiro e di ritornare all’argomento e di guardarlo con occhi diversi. Ho trovato che, quando in dubbio, quando non si hanno idee chiare, il modo migliore è di mettersi nei panni dell’operatore e guardare la situazione dal loro punto di vista.

Otto ore di lavoro standard

Cosa è che rovina veramente la giornata di un operatore? Sia in officina che in un qualsiasi punto vendita, visualizzate la persona che sente di dare il proprio meglio tutto il giorno e alla fine gli viene urlato dietro da parte del cliente o supervisore per aver fatto un lavoro “di m…”. Questo è particolarmente doloroso in quanto percepito come sia ingiusto che destabilizzante in quanto fa crescere in essi il dubbio che, forse, stanno veramente facendo male il loro lavoro. Questo è veramente, veramente sbagliato.

L’altro punto che mi ha fatto riflettere era l’insistenza di uno dei miei sensei che il ruolo di supervisore era di dare otto ore di lavoro standard ad ogni operatore, non solo gli standard di lavoro, ma lavoro standardizzato! Non riuscivo mai a legare con questa insistenza in quanto nella maggioranza di ambienti che conosco, dalla produzione ai servizi, quello che facevano veramente era di spostare le persone in giro da una postazione all’altra e di dirgli cosa dovevano fare e quando, e non come farlo, e in particolare non come farlo a takt e con la corretta sequenza di movimenti. I punti sottolineati dal mio sensei erano che:

  • durante la giornata lavorativo un lavoratore dovrebbe fare solo il lavoro standard
  • il manager dovrebbe fornirgli otto ore di lavoro standard da fare
  • quando il lavoro standard finiva, la persona dovrebbe finire di lavorare
  • qualsiasi lavoro non standardizzato dovrebbe essere esaminato e bisognerebbe chiedersi:
    • si tratta di un lavoro necessario?
    • se sì, l’operatore dovrebbe farlo?

Il suo punto era che la responsabilità del management era di progressivamente eliminare il lavoro non standardizzato dalla produzione, una bella sfida…

Ma cosa fare quando non ci sono gli standard? Un’altra volta, il ritorno al problema dell’uovo e la gallina…

Avendo fallito inizialmente nel lato della standardizzazione, mi chiedevo se era possibile partire dall’altro lato. Nella medesima azienda dove abbiamo portato all’esaurimento l’uomo dell’inizio di questo articolo, abbiamo chiesto al supervisore di fare la formazione agli operatori ogni giorno, la regola era di un operatore al giorno, per 20 minuti. Il supervisore aveva la responsabilità di circa 30 persone, il che significava che avrebbe visto ogni persona per 20 minuti circa ogni due mesi. Abbiamo creato un tabellone visuale con il piano di formazione, così che ogni operatore sapeva quando sarebbe stato il suo turno. E così siamo partiti.

Inizialmente, il supervisore ha tentato di usare i standard di lavoro dettagliati che erano stati creati in precedenza dall’uomo che ha avuto l’esaurimento, ma questo semplicemente non funzionava. Sia che l’operatore era un veterano esperto e che guardava alla procedura come niente di nuovo che doveva sapere, o l’operatore era un principiante e i documenti complessi di formazione erano per lui troppo dettagliati da passare nei 20 minuti. Dopo un paio di mesi, abbiamo deciso di abbandonare i documenti e di focalizzarci sulla relazione. Il supervisore avrebbe dovuto lavorare con carta e matita e scrivere su un foglio A4 una checklist per fare bene il lavoro. Alla fine, questa checklist comprendeva:

  • l’elenco dei passi principali per fare il lavoro
  • descrizioni di OK contro NO nei punti chiave
  • promemoria di sicurezza

E questi sembrano proprio i classici fogli di lavoro standard! Durante le discussioni da 20 minuti, il supervisore controllava la sequenza con gli operatori inesperti e verificava se avevano capito le parti complesse, mentre andava a discutere le descrizioni degli OK/NO con i veterani. Per mia completa sorpresa (e rilievo…), le cartelle di fogli di lavoro standard iniziavano a comparire nelle postazioni di lavoro e moltissime nuove opportunità di kaizen emergevano dalle discussioni con gli operatori. Ancora più sorprendentemente, una maggiore maestria delle operazioni portava alla discussione sul lavoro standard: gli effettivi movimenti dell’operatore nella postazione – i piedi, le mani, gli occhi.

In una azienda di progettazione, il capo progettista ha iniziato a creare cartelle con le checklist che lui esamina negli stessi 20 minuti al giorno, con i progettisti con i quali lavora. Queste checklist vanno da OK/NO del prodotto fino alle regole e scorciatoie per usare il CAD.

La chiave per il lavoro standard

Adesso credo che la chiave non sia nel lavoro standard stesso, ma nel miglioramento della fiducia delle persone nel loro giudizio su cosa sia buono e cosa sia sbagliato. Credo che la relazione tra il supervisore e il lavoratore sia la chiave per stabilire il lavoro standard.

Non so se questo può aiutarvi nella vostra specifica situazione, in quanto cambia radicalmente la natura del lavoro del supervisore (capo reparto). Nel mio caso, dove ho fortuna di lavorare con alti dirigenti delle aziende, se si riesce a convincere loro, le cose tendenzialmente succedono. In altri casi, tenete in mente che, nonostante questo approccio chiaramente beneficia i lavoratori, si tratta anche di una sfida enorme per i supervisori, e che loro hanno bisogno di un serio aiuto per raggiungerlo. Siate quindi preparati a darglielo…

Questo articolo mi ha aiutato a capire anche i miei errori quando tentavo di far fare la stessa cosa che lui descriveva all’inizio ad un’altra persona, che stava diventando matta non riuscendo mai a stare al passo e a tenere completato e aggiornato il suo lavoro. Grazie Michael per avermi spiegato dove sbagliavo, adesso potrò correggere l’errore e prendere un nuovo approccio per la creazione e formazione sul lavoro standard.

Nella vostra azienda invece, come è che gestite lo stesso problema?

Autore

Ciao, sono Dragan Bosnjak e sono qui per guidarti nella scoperta del mondo di lean thinking!

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