Come funzionano le abitudini?

Pensate ad una serie di sperimenti fatti presso la MIT sui ratti per capire come funziona il cervello in situazioni sconosciute. I ratti erano messi in un labirinto che non conoscevano e dovevano trovare l’uscita. Le prime volte è stata registrata una attività enorme nel cervello del ratto e ogni volta che si avvicinavano ad un muro o ad un angolo cieco, il loro cervello “brillava” dall’azione. Ripetendo lo sperimento per più volte, i ratti la smettevano di annusare gli angoli e di fare svolte sbagliate. E iniziavano a muoversi attraverso il labirinto con sempre maggiore velocità. E man mano che imparavano il percorso nel labirinto, succedeva nel loro cervello una cosa inattesa: l’attività registrata era sempre minore.

Man mano che il percorso diventava conosciuto, farlo diventava un’abitudine. E il cervello veniva utilizzato sempre meno.

Questo processo è un processo di conversione delle sequenze di azioni in abitudini. Il nostro cervello tenterà di trasformare qualsiasi attività che si ripete in queste abitudini, in quanto questo permette al cervello un considerevole risparmio energetico e di conservare l’energia mentale. Questo però può essere anche un problema, in quanto il cervello si può “addormentare” nel momento sbagliato. Questo “addormentamento”, ad esempio, è una delle cause più frequenti degli infortuni sul posto di lavoro: pensiamo di saper fare qualcosa e lo facciamo automaticamente, senza pensarci, e quando meno ce lo aspettiamo ci scappa qualche dettaglio, qualche azione, che spesso risulta in un fattaccio.

Ma comunque questo meccanismo avviene raramente (per fortuna). Perché? Perché il nostro cervello comunque ha elaborato un meccanismo di difesa contro di esso. Solitamente l’abitudine si costruisce tramite tre fasi: la prima è quella di qualche indizio che ci dice che stiamo entrando nella procedura ripetitiva che conosciamo, quindi fa scattare il ciclo automatico dell’abitudine, che appunto è la seconda fase. La routine può essere di diversi tipi: fisica, mentale, emozionale. Infine c’è la terza fase, il premio per aver terminato la routine in maniera desiderata e prevista. La ripetizione di questo ciclo: indizio-routine-premio, diventa con tempo sempre più automatica e nasce l’abitudine. E la conoscenza delle singole fasi di questo ciclo ci permette di controllarle meglio.

In questo modo, ad esempio, possiamo iniziare a costruirci l’abitudine di andare a correre tutti i giorni semplicemente lasciando delle scarpe da ginnastica in un determinato punto dove sappiamo che dovremo passare in un determinato momento della giornata (indizio). Questo fa scattare la routine di metterle e di andare a fare il nostro giro, perché sappiamo che alla fine del giro, sempre in un altro punto specifico, ci aspetterà un premio per l’attività che abbiamo fatto.

Chiaramente, non è solo nella vita privata che questo funziona. Pensate alla costruzione del lavoro standard e del miglior metodo attualmente conosciuto nelle aziende. E’ la stessa identica cosa. Arrivare a un determinato punto della procedura di costruzione standard fa scattare la routine di esecuzione, e poi come premio finale ci può essere o un premio tangibile (in denaro) oppure anche un premio emozionale del vedere realizzato e “vivo” qualcosa che abbiamo fatto con le nostre mani. Per me, questo è probabilmente il più bel premio che ci possa essere: vedere in uso un qualcosa che ho realizzato – bellissimo.

Se volete cambiare le abitudini delle persone che lavorano nella vostra azienda, dovete fare una sola cosa: iniziare ad individuare le abitudini che portano nella direzione della vostra visione. E poi premiare tutte le persone che le eseguono. Vedrete che pian pianino tutte le persone inizieranno a capire quali sono le routine premianti e ad eseguirle.

E il volto della vostra azienda cambierà.

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Ciao, sono Dragan Bosnjak e sono qui per guidarti nella scoperta del mondo di lean thinking!

6 comments… add one
  • Cristina Musat Ago 3, 2012, 1:44 pm

    Idee interessantissimi, ma ci sono ancora molte a dire sui nostri modi incoscienti di pensare. Le abitudini possono essere cambiante solo se sono cosciente. Ma, sfortunatamente (o per fortuna mentre le situazioni di crisi), il nostro cervello automatizza cosi bene le nostre azioni, che pian piano mette nel piano inconsciente la maggior parte.
    Io sto preparando una ricerca sulle decisioni impliciti per il miglioramento continuo e quasi tutte le persone che hanno partecipato alla mia indagine hanno risposto che il loro stile di prendere decisioni e ragionevole ed analitico. Ma non sono riusciti a presentarmi prove sugli strumenti analitici utilizzati, ne il processo di prendere la decisione. Allora, sembra che molti usano le abitudini senza sapere (che diventano ad un certo livello la loro intuizione), ma credono di essere delle persone che usano la logica, l’analisi o il pensiero razionale.
    Per me, e piu importante fare la gente piu cosciente sui loro modi de pensare, decidere, azionare – e poi di cercare di cambiare qualcosa.

    • Dragan Bosnjak Ago 3, 2012, 11:49 pm

      Si vede che nell’articolo non ho sottolineato questo fatto della consapevolezza di agire in un determinato modo per creare un’abitudine.
      Grazie per averlo sottolineato!

  • ernesto capozzo Ago 3, 2012, 5:27 pm

    Argomento di mio interesse occupandomi di cambiamento organizzativo,benessere organizzativo e benessere personale.
    Ho iniziato a leggere, proprio oggi, un libro su abitudini e imprevisti, argomento che voglio approfondire in queste vacanze.Ho sempre sostenuto che l’ELASTICITA’ MENTALE stia alla base di qualsiasi cambiamenti: saper cogliere i segnali deboli e saper reagire è molto importante . Questo libro pone al centro dell’attenzione uno stato d’animo chiamato MINDFULNESS, che si basa sulla piena consapevolezza non solo della sfera mentale, ma anche sensoriale ed emotiva per essere pronti a gestire l’inatteso.Le abitudini vanno bene in sistema pianificabile, sono un freno in un sistema complesso e di incertezza Mi dimenticavo il libro,frutto di un’indagine organizzativa di K.E. Weick e K.M: Sutcliffe Governare l’inatteso.La resilienza delle organizzazioni, Raffaello Cortona editore-2010;http://www.ibs.it/code/9788860303073/weick-karl-e-/governare-inatteso-organizzazioni.html
    Altro libro utile a riguardo è Fitness della mente; L.C: Katza e M.Rubin edizioni REDhttp://www.amazon.it/Fitness-della-mente-Economici-qualit%C3%A0/dp/8870315959/ref=sr_1_8?ie=UTF8&qid=1344007511&sr=8-8
    -Stiamo affrontando questo argomento anche su una ltro blog: http://www.formadeltempo.it
    A presto

  • John Hunter Ago 5, 2012, 1:03 am

    Ho usato Google Translate per convertire in italiano – si spera che sia leggibile.

    Sono d’accordo, sfruttando la potenza delle abitudini può essere una strategia molto utile. Capire questo può aiutare a effettuare le modifiche. A volte si tratta di rompere la vecchia abitudine, che anche dopo si decide un modo diverso è meglio può essere una sfida. Inoltre, consente di vedere la forza o la debolezza in una strategia di cambiamento del sistema.

    http://management.curiouscatblog.net/2009/12/10/habits/

    • Dragan Bosnjak Ago 5, 2012, 11:33 pm

      Yes, John, you’re absolutely right (and you can comment here in english, my readers are quite good at it… 😉 ), the improvement of a system can be “measured” with how it manages the change of habits of the people who live in it.
      If you want to break an old habit in a system (be it a personal change or an entire system change), you need to define exactly and consciously how you intend to do it, just as Cristina emphasized in her comment.

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