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Le due facce del 3P

L’altro giorno Massimo mi ha contattato dicendomi di scrivere qualche articolo sulla metodologia 3P (Production, Preparation, Process), uno strumento del lean thinking un pò meno conosciuto ma molto potente. In questo articolo andrò a spiegare le linee fondamentali che lo caratterizzano. Mi ha anche promesso di scrivere un guest post in base alla sua esperienza (sono in attesa… 😉 ).

Ma prima di iniziare a descrivere questo metodo, vorrei chiarire qualche possibile equivoco terminologico riguardo il nome di questo metodo. Infatti, nella letteratura lean il 3P lo troviamo in due concetti diversi. E infatti, sono andato un pò in confusione quando Massimo mi ha fatto la domanda, ho scambiato l’uno per l’altro… Perciò vado a chiarire entrambi, così che anche voi non restate confusi…

Uno è quello coniato dalla LEI e il suo ex CEO James P. Womack, e le tre P stanno per: Purpose, Process, People. E in questo contesto Womack descrive come andare a valutare le iniziative lean presso le organizzazioni:

Poi ha parlato dello stesso concetto anche John Shook in una delle sue e-lettere (potete consultarla qui), dove parla dell’equilibrio che deve essere realizzato all’interno di una organizzazione in modo da inseguire in maniera corretta questi tre concetti.

Il secondo metodo 3P, quello di cui parlava Massimo, è Production, Preparation, Process.

Questo acronimo è stato coniato da Shingijutsu, la società di consulenza che nasce da Toyota Sales ma che ormai da decenni lavora completamente per conto proprio, ma comunque raccoglie alcune tra le menti più importanti del panorama Toyota.

Questo metodo tratta una rapida progettazione dei prodotti e processi per garantire la capacità, qualità, produttività e flusso. Riduce le risorse in capitale, utensili, spazio, inventario e tempo. Parte dalla progettazione del processo su un foglio di carta, si crea un prototipo (mock up) del processo in scala e con i materiali che si trovano sotto mano, prima di iniziare a impegnare qualsiasi materiale o risorsa vera da utilizzare nella produzione. Si realizza così l’intero processo produttivo e si trovano delle opportunità di miglioramento, sprechi e linee di comunicazione interne, che permettono di evitare tutti questi errori nella fase di effettiva realizzazione del processo.

Lo strumento è molto utile e efficace quando bisogna sviluppare un metodo per soddisfare i requisiti dei clienti, pianificare la capacità produttiva per la domanda nuova o in cambiamento, impostare date obiettivo per la consegna al mercato oppure provare i calcoli del target costing.

Lo scopo del mock up è di creare una specie di gemba, luogo di lavoro, nella fase in cui questo non esiste ancora. E lì, anziché fare delle analisi astratte, avete qualcosa che la gente può vedere, toccare ed interagire. Facendo così fa riaffiorare in superficie dettagli che sono semplicemente invisibili nei modelli astratti creati sul computer o sulla carta. Il mock up poi serve per trovare i problemi, definire i processi, trovare le opportunità di miglioramento prima ancora di realizzare la vera produzione.

Nella realizzazione del mock up vengono usati i 16 principi:

Ma per avere maggiore precisione e chiarezza sul metodo e magari anche qualche esempio applicativo, aspettiamo il guest post di Massimo, tra qualche giorno…

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