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Il codice del talento #4: Mentoring esperto

the talent code

Negli articoli precedenti della serie avevo parlato di mielina, profonda pratica e ignizione.

Questo è l’ultimo articolo della serie e parla del mentoring esperto.

Cosa vuol dire mentoring esperto?

Secondo voi, ha più successo un insegnante che motiva i suoi studenti urlando e motivandoli a fare di più e meglio oppure uno che sta in silenzio e ti osserva, e poi interviene esattamente quando tu, studente, ne hai bisogno?

Ci sono vari casi di successo degli insegnanti della prima categoria, quindi verrebbe spontaneo dire che il modello da seguire è quello. Ma la realtà è, che il secondo tipo di insegnante è quello che produce il talento più in fretta e con migliori caratteristiche…

Quello che è stato osservato nei vari covi di talento è che c’è sempre stato un insegnante silenzioso, quieto, che stava in parte e osservava. Questo insegnante è solitamente anziano, con molti anni di esperienza di insegnamento alle spalle. Questo prototipo di insegnante ascolta più di quello che dice, non si improvvisa mai in discorsi motivanti, ma tutto il tempo offre il suo consiglio ai suoi studenti sulle piccole cose, i miglioramenti precisi ed altamente specifici. Inoltre ha un’alta sensibilità verso la persona che sta insegnando, dando istruzioni personalizzate ad ogni studente in funzione del loro carattere.

Questi insegnanti sono come dei sussurratori di talento. Si comportano come dei contadini che ti dicono tutto quello che sanno riguardo ai fertilizzanti, a come coltivare, ma non sanno dirti come andrà a finire il raccolto – ti rispondono con “dipende”… Loro danno tutta la loro esperienza e competenza a tutti quelli che insegnano, e poi ti dicono “Quello che succederà dopo, chi può saperlo?” – come una pianta: “è ancora presto e stanno ancora crescendo”. Loro non coltivano i campi però, loro coltivano la mielina. Sono persone con i piedi per terra e disciplinate. Posseggono conoscenze vaste e profonde, che poi applicano nel insegnamento dello studente in fasi incrementali e continue.

I loro discorsi, per la gran parte, si riconducono alla trasmissione delle informazioni utili: cosa fare, come farlo, come intensificare una attività. Loro danno l’istruzione in tre parti: fanno vedere come farla correttamente, mostrano il modo sbagliato di farlo, e poi di nuovo mostrano il modo corretto. Nessun, anche più piccolo, dettaglio della pratica è troppo piccolo per essere trascurato…

E amano quello che fanno. E insegnano anche questo amore ai loro studenti, colpendo direttamente nel cuore dell’ignizione e motivazione.

Ma tutti possono diventare dei grandi insegnanti?

La risposta è: sì. Queste capacità possono essere (e vengono) create come quelle dei loro studenti. I grandi maestri si concentrano su quello che lo studente dice o fa, ed è capace, dal profondo della sua concentrazione e profonda conoscenza della materia, di vedere e riconoscere lo sforzo che sta facendo lo studente e di indirizzarlo verso la maestria attraverso i messaggi mirati. Le parole chiave sono conoscenza, riconoscimento e connessione. In sostanza, loro consegnano segnali che indirizzano la crescita di un determinato circuito della materia dicendogli chiaramente di accendersi qui e non lì. La sua abilità si trova nell’individuazione dello sweet spot sul confine della attuale capacità dello studente e di inviare segnali corretti allo studente per indirizzarlo verso l’obiettivo corretto, giorno dopo giorno.

Le quattro virtù dei maestri sono:

Il modo in cui una disciplina viene insegnata però dipende dal tipo di circuito che è necessario per raggiungere la maestria: alcune discipline richiedono la crescita di una vasta gamma di circuiti che possono superare una serie di ostacoli, e per questi l’insegnamento può essere passivo, lasciando agli studenti molta improvvisazione (come ad esempio l’insegnamento del calcio o della scrittura). Invece esistono discipline che richiedono l’utilizzo di stessi circuiti ripetitivamente che dipendono dalla solida fondazione tecnica che gli permette di ricreare i fondamentali di una prestazione (ad esempio suonare uno strumento, giocare a golf), e quindi richiede una partecipazione attiva dell’insegnante. Ma entrambi hanno lo stesso obiettivo: portare lo studente verso il traguardo desiderato, quando lo studente diventa l’insegnante di se stesso e non ha più bisogno di insegnamento esterno.

Lo scopo finale è di far diventare lo studente un pensatore indipendente, un problem solver, nella materia di competenza.

Esattamente le stesse cose che insegna il lean thinking e i sensei giapponesi…

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