Fenomeno del Nord Est

qualitiamo

Ho trovato questo thread presso il forum di QualitiAmo.

Parla del fenomeno industriale del Nord Est, tanto raccontato e pubblicizzato, ma quando raccontato dai protagonisti diretti alla fine non sembra proprio tutto questo fenomeno organizzativo e culturale in azienda…

Da fare particolare attenzione ai file allegati di Renato Carraro, molto istruttivi. Un breve estratto del thread da parte proprio dello stesso Carraro:

Lavoro nel nord est da sempre, cioè da oltre 40 anni e negli ultimi 30 come consulente, quindi ho conosciuto la realtà di questo mondo produttivo dall’interno ed a tutti i livelli.
Sono sempre stato scettico sulle valutazioni del fenomeno nord est e quando sentivo che il nostro modello veniva studiato a livello mondiale, mi sono posto molti interrogativi, sui quali ho preferito sorvolare.
In fondo faceva comodo anche a me cavalcare l’onda di piena ed approfittare dell’esuberanza economica, in fondo sarei stato una voce stonata in un coro che cantava all’unisono ed a quale pro, visto che ero convinto di non poter cambiare nulla.
Ora la crisi economica ha messo in evidenza e secondo me non in modo chiaro, la reale tenuta di questo modello, che poi non è neppure modello, ma semplice insieme di circostanze.

In quale “modello” di gestione industriale si prevede che chi “comanda” e decide le sorti dell’azienda, non conosca gli strumenti gestionali di base come ad esempio il bilancio? La stragrande maggioranza di tutti i clienti che ho incontrato in 30 anni di lavoro non lo conosceva, neppure in modo sommario.
In quale realtà industriale si possono calcolare i costi e fare la contabilità industriale, senza rilevare i tempi di produzione?
Che senso ha parlare di attività commerciale se questa è intesa come massima espressione, come un ufficio che immette nel gestionale gli ordini dei clienti?
Ammettendo che ciò che ho espresso pocanzi sia vero, si può parlare di gestione aziendale?
Conoscono il nord est ed i suoi operatori ai quali riconosco doti di inventiva, capacità operativa, creatività pratica, che forse non hanno uguali, ma so anche che a 40 ore alla settimana e pagando tutte le tasse, l’80 % di queste aziende chiuderebbe in perdita, quindi mi e Vi ridomando dov’è il fenomeno? in che cosa consiste il modello?
Solo una generazione di grandi lavoratori che sono passati dal regime che governava l’attività agricola, cioè niente soste neppure alla domenica, direttamente alla propria fabbrica, ha pututo generare questo exploit, ma il futuro con quali risorse culturali, ed economiche si affronterà?
Se l’italia ha un debito formativo, il nord Est da questo punto di vista è alla bancarotta e non è detto che sia sufficiente lavorare tanto, anche perchè lavorare tanto e studiare tanto, non sono propriamente la stessa cosa.

Invito tutti alla discussione! Ditemi la vostra opinione, io la mia l’ho già espressa nel thread…

Autore

Ciao, sono Dragan Bosnjak e sono qui per guidarti nella scoperta del mondo di lean thinking!

21 comments… add one
  • paolo Gen 14, 2010, 1:04 pm

    caro renato ti mando questi dati: costo operaio 22 euro all’ora , costo energia elettrica 12 euro all’ora , spese di automezzi 2 euro, contabilità assicurazioni danni 2 euro , telefoniche 1 euro, cancelleria ufficio 1 euro, tasse comunali tasse regionali 2 euro, utensileria di consumo varie 2 euro, tasse irpef 5 euro, imps 5 euro, stipendio titolari 6 euro , banche 1 euro.spese struttura circa 5 euro e siccome siamo in tre io mia moglie socia,mio figlio operaio in regola al 100% lavorando 1600 ore a testa fai tu i conti e vedrai che c’è poco da stare allegri . oggi il costo medio di una impresa artigiana è di circa 65 euro, senza fare le ferie e 2 pizze all’anno se va bene . tuo paolo.

  • renato carraro Gen 14, 2010, 1:50 pm

    Conosco bene queste cifre, che variano un pò da un caso all’altro, ma non si avvicinano minimanente a quelle che i “grandi manager” vorrebbero pagare a chi lavora veramente.
    Devo però aggiungere un’altra cosa che riguarda sia le piccole che le media realtà che conosco bene: la percentuale di spreco di risorse non è mai al di sotto del 40%, ciò significa che su 8 ore di lavoro 3,2 si perdono per disorganizzazione e cattiva gestione. Ti posso assicurare che ho riportato il dato più ottimistico tra quelli a me noti, in alcuni casi ho visto realtà che sprecavano il 75% delle loro risorse e potevano andare avanti solo grazie a prezzi “assurdi” consentiti da mercati di nicchia. Ora le cose stanno cambiando e grazie anche alle logiche della gestione di qualità, quella che le ISO 9000 indicano ed indicavano, ma che purtroppo quasi sempre si è tradotta in carta straccia, grazie comunque a quelle logiche, se applicate correttamente, si hanno dei costi della gestione e della qualità certi, mentre quelli della non qualità, i già accennati sprechi tenderanno a diminuire drasticamente.
    E’ un percorso lungo che prevede innanzitutto un cambio di mentalità ed una propensione all’apprendimento ed all’innovazione, soprattutto del pensiero, l’alternativa è la scomparsa delle aziende a favore di chi saprà gestire la finanza ed il mercato.
    La mia visione del futuro è quella di un’industria italiana che lavorerà con le sue capacità e con le risorse cinesi, per fare i prodotti per i cinesi ricchi che ora sono molti ed in futuro saranno sempre di più, in sostanza una riedizione in grande di ciò che abbiamo fatto per gli USA negli anni post bellici.
    Spero tanto di sbagliarmi. Ciao

    • Dragan Bosnjak Gen 14, 2010, 1:58 pm

      Mi permetto di introdurmi nella vostra conversazione molto interessante con una precisazione su quello che ha detto Renato: se gli sprechi vanno guardati dal punto di vista del lean thinking, solitamente si parla di più di 95% del tempo che viene sprecato, come ho sottolineato nell’articolo L’arte di ridurre i costi e come viene confermato anche dalle analisi delle più importanti menti del lean thinking nel mondo…

  • renato carraro Gen 14, 2010, 2:08 pm

    Il mio riferimento era al tempo effettivamente disponibile a livello operativo, quello che produce “valore aggiunto”, per un’analisi macro, è sufficente osservare quello, e per capire anche le possibilità di recupero. Nel caso poi si vogliano condurre analisi più approfondite, si possono valutare molti indicatori, ma questo mi ha sempre dato ottime informazioni e soprattutto ha segnalato situazioni abnormi, come quasi tutte quelle delle nostre aziende, alla faccia della produttività. Ciao

  • renato carraro Gen 17, 2010, 12:01 pm

    Salve a tutti, mi sono accorto che nelle mie valutazioni c’è una grande “laguna” per dirla alla veneta.
    Non ho citato la Fondazione Nordest che dal 99 supporta egregiamente il fenomeno e gli si adatta a pennello.
    Tra le molte cose citate nel resoconto del 2009, ce n’è una che mi ga fatto letteralmente andare fuori di testa, cioè il fatto che il Nordest sarebbe caratterizzato da una ” arretratezza progredita ” che lo fa essere quello che è.
    Agli esordi della Fondazione, in modo assolutamente spontaneo ed ingenuo, che mi è proprio, mi sono offerto di fornire la mia modesta collaborazione, mettendo a disposizione le mie conoscenze dall’interno del sistema produttivo reale, quello che vivo tutti i giorni.
    Naturalmente la risposta è stata , quindi ho lasciato perdere, constatando che per ovvie ragioni, il Nordest poteva solo produrre questo tipo di fondazione.
    Per chi ha qualche curiosità e vuole conoscere meglio il nordest, consiglio una carrellata tra gli scritti della fondazione, certamente comprenderete meglio, perchè il nordest è veramente un fenomeno.

  • Giovanni Gen 17, 2010, 9:02 pm

    La lettura di del sig, Renato Carraro è impietosa ma profondamente vera. Ciò nonostante sono convinto della capacità camaleontica del tessuto industriale del nord est , dove opero anch’io da molti anni, di rinnovarsi e trovare la la strada del cambiamento. Quello che invece mi lascia disarmato nel guardarmi intorno, invece, è la totale assenza di questa consapevolezza da parte delle associazioni di categoria (mi riferisco nello specifico alla Confindustria) che nulla fà se non bastare a se stessa ,raccogliere le lamentele degli associati e attivarsi per delle iniziative “ludiche”, tanto per fare gruppo. E’ vero, sono molto duro in questo mio passaggio ma è tempo di scuotersi dalla vecchia visione di fare azienda e non di far finta che il peggio è alle spalle. Le nostre aziende sono “chiuse”, poco inclini a fare del benchmarking sul come affrontare le sfide che sono davanti ai nostri piedi. Se è vero che gli imprenditori del nord-est sono passati da un regime che governava una attività agricola a essere dei vincenti capitani di industria, ora è arrivato il momento di “aiutare” questo prezioso tessuto industriale, fatto di grande volontà e abnegazione al lavoro, a cambiare e andare verso il mercato con approcci nuovi , verso il LEAN THINKING!!!!!

    • Dragan Bosnjak Gen 18, 2010, 10:03 am

      Grazie ancora a tutti per i contributi!
      Riguardo il commento di Giovanni, sono d’accordo che le Confindustrie non fanno molto per aiutare le aziende (tranne i sporadici corsi formativi e qualcosina d’altro…) ma anche gli imprenditori dovrebbero esprimere chiaramente la loro volontà (tempo permettendo) di acquisire le nuove conoscenze e portare il lean thinking nelle loro realtà. Di studiare… Di fare benchmarking, come dici tu, e imparare anche dalle esperienze altrui.
      Ma nonostante tutto, credo che il benchmarking migliore sia quello interno: inseguimento dello stato ideale, di una cultura dell’organizzazione giusta dove ognuno è portato a raggiungere gli obiettivi generali posti dalla visione, di sperimentare quotidianamente, fare gli errori e imparare da questi errori, muovendosi in direzione giusta.
      Questa è la cultura imprenditoriale che secondo me manca nel tessuto del nord-est, dove bisogna sì lavorare duramente, ma non in maniera organizzata. Se riusciamo a unire l’organizzazione al duro lavoro al quale siamo abituati, non ci sarebbe nessuna crisi che ci potrebbe spaventare.

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